
Di recente, la Corte di Cassazione è intervenuta nell’ambito del settore lavoro con ordinanza del 19 gennaio 2024 n. 2084, a chiarire se in caso di stress da lavoro, sia responsabile il datore di lavoro nei confronti del dipendente anche qualora non ricorra la particolare situazione definita “mobbing”.
Analizziamo insieme ad un team di avvocati esperti nel diritto del lavoro e della previdenza sociale l’eventuale responsabilità del datore di lavoro, per sofferenze psichiche subite dal lavoratore sul luogo di lavoro.
Lo Studio Legale Bertuzzi e Associati forte dell’esperienza e competenza maturata nel tempo ti consente di fare chiarezza sulla questione assai diffusa del caso in cui il lavoratore, a seguito di un ambiente lavorativo troppo stressante, subisca sofferenze psichiche pur in assenza di atti di presunto mobbing. Siamo qui per aiutarti a comprendere le regole dettate in codesto settore, tutelando i tuoi diritti al fine di ottenere i migliori risultati possibili. Contattaci subito e richiedi una consulenza personalizzata a te e alle tue esigenze.
Anche in assenza di mobbing risponde il datore di lavoro: cosa è il mobbing?
Per “mobbing” si intende un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori posti in essere sul luogo di lavoro, al fine di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima.
Nell’ordinamento italiano non esiste una disciplina specificamente dedicata al fenomeno del mobbing: ciononostante, sono diverse le norme che – tutelando la salute, la sicurezza ed il benessere dei lavoratori – consentono di attribuire rilievo alle condotte vessatorie.
Oltre agli articoli della Costituzione e del codice civile, ulteriori disposizioni sono contenute nelle leggi speciali come lo Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/1970), il Codice delle pari opportunità (Dlgs n. 198/2006) e il Testo Unico per la sicurezza del lavoro (Dlgs n. 81/2008).
Pur in assenza di una legge appositamente dedicata a tale pericoloso fenomeno, diversi sono gli strumenti di tutela offerti dall’ordinamento.
Uno di questi è il diritto al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore vittima di mobbing.
Le modalità per ottenere il suddetto risarcimento variano a seconda del tipo di responsabilità che il danneggiato intende far valere in giudizio: le condotte mobbizzanti possono infatti dar luogo a profili di responsabilità contrattuale od extracontrattuale, con tutte le differenze di disciplina che ne derivano.
Come chiarito altresì dalla giurisprudenza (cfr. Cass. civ. sez. lavoro n. 17698/2014) sono elementi costitutivi del fenomeno del mobbing:
- una serie di comportamenti di carattere persecutorio– illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo mirato, sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
- l’evento lesivodella salute, della personalità o della dignità del dipendente;
- il nesso di causalitàtra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
- l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorioche unifica e lega tra loro tutti i singoli comportamenti ostili.
Anche in assenza di mobbing risponde il datore di lavoro: la vicenda giuridica
La vicenda giuridica riguardava il caso di un lavoratore che, a seguito di sofferenze psichiche patite in ufficio, avanzava una richiesta risarcitoria nei confronti del datore di lavoro.
La domanda risarcitoria accolta in primo grado veniva, invero, respinta in appello.
Ciò in quanto secondo la Corte d’appello, che aveva dunque rigettato la pretesa risarcitoria avanzata dal lavoratore, non sarebbe ricorso l’intento persecutorio, quale elemento costitutivo della condotta di mobbing.
Avverso tale pronuncia, il dipendente aveva proposto ricorso per cassazione.
Nell’esaminare il caso in esame, la Cassazione ha in primis messo in risalto l’obbligo del datore di lavoro tenuto ad astenersi dall’adottare scelte o comportamenti lesivi della personalità morale del lavoratore, come l’applicazione di condizioni di lavoro stressogene, oltre a tenere comportamenti più gravi come mobbing, straining, burn out, molestie, stalking.
In secondo luogo, la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare, anche in assenza di un intento persecutorio, le differenti condotte tenute singolarmente dal datore, alla luce della violazione di tutte quelle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, come disposto dall’art. 2087 c.c.
Secondo la Cassazione, il giudice di merito non avrebbe valutato le varie condotte poste in essere dal datore di lavoro che, pur in assenza di comportamenti intenzionalmente vessatori nei confronti del lavoratore, avrebbe potuto essere state esorbitanti od incongrue rispetto all’ordinaria gestione del rapporto.
Tale circostanza era invero stata esclusa nella sentenza impugnata, in ragione dell’accertata insussistenza di un comportamento volontariamente vessatorio.
Se da un lato, la Corte d’Appello aveva riconosciuto le sofferenze psichiche patite dal lavoratore, dall’altro non aveva considerato la domanda del lavoratore stesso volta a dimostrare la presunta violazione da parte del datore di tutte le predette misure ex art. 2087 cod. civ.
È noto che il lavoratore che agisce per ottenere il risarcimento dei danni causati durante lo svolgimento dell’attività lavorativa non ha l’onere di provare la condotta omissiva del datore nella predisposizione delle predette misure di tutela, spettando al contrario al datore l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.
Di conseguenza, una volta accertato sia il danno, che la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra i due elementi, il diritto al risarcimento del danno non è eludibile.
In conclusione, ed in casi analoghi, non occorre provare l’intento vessatorio del datore di lavoro, il quale sebbene tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere la personalità morale del lavoratore, come la creazione di condizioni lavorative stressogene, non è esonerato da responsabilità per eventuali danni alla salute causati al dipendente a causa di un ambiente lavorativo troppo stressante, pur in assenza di atti qualificabili come mobbing.
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