Con sentenza n. 1842 del 16 marzo 2022, il Consiglio di Stato sez. VII ha annullato la decisione del T.A.R per il Lazio – Roma, Sezione Terza Bis, che con precedente pronuncia n. 7799 del 7 luglio 2016 aveva respinto il ricorso proposto per l’annullamento della nota del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (M.I.U.R.) n. 15219 del 15 ottobre 2015, nella parte in cui specifica che la “Carta del Docente” e i relativi € 500,00 annui sono assegnati ai soli docenti di ruolo anziché ai docenti con contratto a tempo determinato, nonché dell’art. 2 del d.P.C.M. n. 32313 del 23 settembre 2015.
Appare chiaro che l’oggetto della censura riguarda la nota del M.I.U.R. n. 15219 del 15 ottobre 2015, che nel fornire alcune indicazioni operative in ordine alla Carta, ha ribadito l’assegnazione dei rispettivi € 500,00 annui ai soli docenti di ruolo, escludendo da siffatto beneficio i docenti a tempo determinato. La Carta del Docente è stata introdotta successivamente all’attuazione della riforma de “la buona scuola” con la legge n. 107 del 13 luglio 2015 ““Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”.
L’art. 1 comma 121 della citata legge stabilisce che “al fine di sostenere la formazione continua dei Docenti e di valorizzarne le competenze professionali, viene istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell’importo nominale di € 500,00 per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per differenti scopi.
Tra questi: l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale; l’acquisto di hardware e software; l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale; rappresentazioni teatrali e cinematografiche; l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo; nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124.
La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile. Il successivo comma 122 dell’art. 1 cit. aveva poi demandato a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, la definizione dei criteri e delle modalità di assegnazione e di utilizzo della Carta del Docente. Successivamente è stato approvato il d.P.C.M. 23 settembre 2015 “Modalita’ di assegnazione e di utilizzo della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado”, le cui disposizioni sono state sostituite, a far data dal 2 dicembre 2016, da quelle del d.P.C.M. 28 novembre 2016 “disciplina delle modalita’ di assegnazione e utilizzo della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado”. “
Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale” (comma 124 art. 1). Il citato d.P.C.M 23 settembre 2015 individua all’art. 2 i destinatari della Carta elettronica, indicandoli al comma 1 nei “docenti di ruolo a tempo indeterminato presso le Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova”.
Il successivo comma 4 ribadisce che “la Carta è assegnata, nel suo importo massimo complessivo, esclusivamente al personale docente a tempo indeterminato di cui al comma 1”. Da ultimo la nota del Ministero prot. n. 15219 del 15 ottobre 2015 – DPCM 32313 del 23 settembre 2015 – Carta dei Docenti del Comparto Scuola – Indicazioni operative, (oggetto della censura in esame da parte del Consiglio di Stato), che al punto 2 (rubricato “Destinatari”) ribadisce che “la Carta del Docente (e il relativo importo nominale di 500 euro/anno) è assegnata ai docenti di ruolo delle Istituzioni scolastiche statali a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti in periodo di formazione e prova, che non siano stati sospesi per motivi disciplinari (art. 2 DPCM)”.
In definitiva, la Carta del Docente intesa come beneficio, ovvero contributo annuale da spendere in prodotti e servizi correlati o propedeutici al mondo della formazione dei docenti e della cultura in generale, erogato da parte del Ministero, riguarderebbe i soli docenti assunti “di ruolo” e non i docenti denominati “precari”.
Tutto ciò premesso, nella vicenda che ci occupa, il T.A.R. del Lazio aveva stabilito come la Carta del docente non rientrasse nelle “condizioni di impiego” richiamate dalla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999 allegato alla direttiva n. 1999/70/CE del 28 giugno 1999.
Tale clausola prescrive, relativamente alle condizioni di impiego, che i lavoratori a tempo determinato non devono essere trattati in modo meno favorevole di quelli a tempo indeterminato. Ciò in quanto la Carta del Docente non avrebbe natura di retribuzione accessoria o reddito imponibile, essendo connaturata alla formazione del docente medesimo. Essa compenserebbe la maggiore gravosità del servizio svolto dai docenti di ruolo, per i quali la formazione è divenuta, secondo la l. n. 107/2015 cit., attività oltre che obbligatoria, anche strutturale e permanente.
Secondo il Giudice di primo grado, sebbene la previsione di legge contrasti con il contratto collettivo nazionale del lavoro- C.C.N.L. di categoria- tuttavia, essa poiché successiva prevarrebbe sul contratto. Ciò significherebbe far divenire obbligatoria la formazione in servizio esclusivamente per i docenti di ruolo. In particolare, la limitazione del beneficio al personale a tempo indeterminato, con esclusione di quello a tempo determinato, non contrasterebbe con il principio di uguaglianza costituzionale previsto dall’ordinamento, poiché questo presuppone che le situazioni da comparare devono presentare una fondamentale omogeneità delle caratteristiche essenziali, non rinvenibili nella vicenda che a noi riguarda.
Difatti l’art. 1, comma 124, della l. n. 107/2015 cit. statuisce che soltanto per il personale docente di ruolo la formazione in servizio è obbligatoria, permanente e strutturale, laddove nulla di tutto ciò è previsto per i docenti non di ruolo. In tale scenario, la Carta del docente rappresenterebbe il controvalore per la maggiore gravosità del servizio espletato dai docenti di ruolo, per i quali soltanto la formazione in servizio costituisce attività funzionale obbligatoria, strutturale e permanente.
Di diverso avviso è il Consiglio di Stato secondo cui la Carta del Docente va riconosciuta anche agli insegnanti precari, poiché la scelta del Ministero di escludere dal siffatto beneficio il personale con contratto a tempo determinato presenterebbe profili di irragionevolezza e contrarietà ai principi di non discriminazione e di buon andamento della P.A.
Il Supremo Collegio ritiene che riconoscere la Carta del docente e i relativi € 500,00 annui ai soli insegnanti di ruolo, dia luogo ad un tipo di formazione definita “a doppia trazione” ovvero: quella relativa ai docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico mediante l’erogazione della Carta; quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico.
Appare chiaro che la costruzione di un sistema basato su un tipo di formazione “a doppia trazione” sarebbe in evidente contrasto con i precetti costituzionali dettati dagli artt. 3, 35 e 97 Cost., rispettivamente in materia di tutela del diritto di uguaglianza e non discriminazione, di formazione ed elevazione professionale dei lavoratori e di imparzialità e buon andamento amministrativo.
Ciò per due ordini di motivi.
Il primo è che così facendo, si introduce una palese discriminazione a danno dei docenti non di ruolo, causata dalla mancata erogazione di uno strumento che può garantire tutte quelle attività tese alla formazione dei docenti, offrendo loro la pari opportunità di aggiornare la propria preparazione professionale.
Il secondo motivo è relativo al fatto che un tale sistema rappresenta un segnale certo di lesione del principio costituzionale di buon andamento della P.A, poichè agevola la formazione del solo personale docente di ruolo. Ciò a discapito della formazione del personale precario che verrebbe ad essere assoggettato all’autonomia degli stessi docenti non di ruolo, non garantendo un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione a tutti indistintamente i docenti.
Ad avviso del Consiglio di Stato la costruzione di una simile impalcatura non sarebbe conforme ai canoni di buona amministrazione, poiché porrebbe un obbligo di formazione a carico di una sola parte del personale docente, continuando in ogni caso a servirsi anche di quella fascia di personale docente esclusa dalla formazione in servizio e dagli strumenti di ausilio.
Ma vi è di più.
Se la P.A. necessita di personale docente non di ruolo per l’erogazione del servizio scolastico, allora deve al contempo curare la formazione anche di tale personale, al fine di garantire la migliore qualità dell’insegnamento fornito agli studenti. Il diritto-dovere di formazione professionale e aggiornamento grava, pertanto, su tutto il personale docente e non solo su una parte di esso. Non è corretto ritenere che l’erogazione della Carta vada a compensare la maggiore gravosità dell’impegno richiesto ai docenti di ruolo in chiave di aggiornamento e formazione, poiché un tale impegno non può non riguardare anche i docenti non di ruolo, rischiando in caso contrario, di incentivare la creazione di un sistema “a doppio binario”, inidoneo a garantire la complessiva qualità dell’insegnamento.
In definitiva, il Consiglio di Stato giunge alla conclusione che non può esserci formazione “a doppia trazione”.
Un ulteriore elemento utile a comprendere come il Tar del Lazio abbia errato la propria decisione- continuano i Giudici di secondo grado- risiede nel fatto che, se la Carta del Docente viene erogata a favore anche dei docenti part-time e persino dei docenti di ruolo in prova (i quali potrebbero non superare il periodo di prova non conseguendo la stabilità del rapporto), non si comprende il motivo secondo cui la stessa debba essere negata a quelli non di ruolo.
L’irragionevolezza della soluzione seguita dalla P.A. emerge, ancora più espressamente, dalla lettura del d.P.C.M. del 28 novembre 2016 (che come già rilevato, ha sostituito quello del 23 settembre 2015), che all’art. 3, individua tra i beneficiari della Carta anche “i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati”. Ciò significa che vi sarebbero dei docenti che beneficerebbero dello strumento pur senza essere impegnati, al momento, nell’attività didattica, laddove altri docenti, pur svolgendo diversamente dai primi l’attività didattica, non usufruirebbero della Carta, rimanendo privati di un ausilio necessario sia per l’aggiornamento che per la formazione professionale.
Orbene, una volta accertata la non compatibilità del sistema relativo alla formazione a “doppia trazione” con i dettami costituzionali, occorre rilevare se tale incompatibilità tragga la propria origine nella normativa primaria dell’art. 1, commi 121 – 124 della l. n. 107/2015, con conseguente necessità di sottoporre detta normativa allo scrutinio di legittimità costituzionale nella sede a ciò deputata (o anche illegittimità comunitaria).
Peraltro, è opportuno constatare se sia possibile fornire un’interpretazione in chiave costituzionalmente orientata dell’art. 1, commi 121 – 124, cit., tale da garantirne la conformità alla Costituzione, rendendo manifesto che gli atti impugnati non hanno dato giusta attuazione alla succitata normativa primaria.
Ad avviso del Collegio, la seconda opzione appare preferibile. La lacuna del comma 121 della L. n. 107/2015, che aveva previsto per il solo personale di ruolo la Carta docente, deve essere colmata da un’interpretazione costituzionalmente orientata che rispetti i citati parametri costituzionali. Sotto diverso profilo non può applicarsi il principio di “lex posterior derogat priori”, nel senso prospettato dall’Amministrazione, considerato che la legge n. 107/2015 esclude la deroga alla riserva di competenza contrattuale che permane in materia di formazione professionale, attualmente, regolamentata dagli artt. 63 e 64 del CCNL del 29 novembre 2007. Non si può difatti condividere l’assunto secondo cui la legge posteriore (e quindi l’art. 1, commi 121 e segg., della l. n. 107/2015) debba riconoscersi, in virtù del criterio temporale, prevalente sulla disciplina “incompatibile” dettata dal preesistente C.C.N.L. di categoria. I rapporti tra legge e contratto collettivo devono ritenersi guidati dal criterio della riserva di competenza, ovvero dalla riserva di una determinata materia alla contrattazione collettiva, quale fonte di disciplina dei rapporti di lavoro, entro i limiti fissati dalla legge statale (art. 2, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Quest’ultima rinvia alla suddetta contrattazione (cfr., ex multis, Corte cost., 15 luglio 2021, n. 153; 21 giugno 2019, n. 154), tenuto altresì conto che negli spazi ad essa riservati la contrattazione collettiva deve comunque attuarsi entro il limite generale della compatibilità con le finanze pubbliche (Corte cost., 30 luglio 2012, n. 215).
Nella vicenda che a noi occupa, in presenza di una lacuna normativa che abbia innovato rispetto al d.lgs. n. 165/2001, sottraendo esplicitamente la materia della formazione professionale dei docenti alla contrattazione collettiva di categoria e riservandola in via esclusiva alla legge (statale), non risulta corretto affermare la prevalenza della disciplina di cui all’art. 1, commi 121 e segg., della l. n. 107/2015 sulle preesistenti disposizioni del C.C.N.L. di categoria e, in specie, sugli artt. 63 e 64 del C.C.N.L. del 29 novembre 2007.
Queste due ultime disposizioni disciplinano rispettivamente l’una la formazione in servizio e l’altra il diritto alla formazione mediante il monte orario relativo ai permessi ivi indicato. Da ciò consegue che la questione dei docenti destinatari della Carta va rivista alla luce anche della disciplina fissata in tema di formazione dei docenti dal C.C.N.L. di categoria.
Tale disciplina deve essere letta in chiave di complementarità, rispetto al disposto dell’art. 1, commi da 121 a 124, della l. n. 107/2015. L’interpretazione dei predetti commi non può non tenere conto delle regole in materia di formazione del personale docente dettate dagli artt. 63 e 64 del C.C.N.L. di categoria.
Le suddette regole pongono a carico dell’Amministrazione l’obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza distinzione alcuna tra docenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, “strumenti, risorse e opportunità che garantiscono la formazione in servizio” (così il comma 1 dell’art. 63 cit.).
Appare innegabile che tra tali strumenti debba essere compresa la Carta del docente, cosicchè per tale via possa affermarsi che di essa sono destinatari anche i docenti a tempo determinato, colmandosi la lacuna previsionale dell’art. 1, comma 121, della l. n. 107/2015, che menziona i soli docenti di ruolo.
Sussiste un’indiscutibile identità di ratio – la già ricordata necessità di garantire la qualità dell’insegnamento – che consente di colmare in via interpretativa la predetta lacuna.
Diversamente opinando, nelle scelte della P.A sarebbe ravvisabile la violazione, erronea e falsa applicazione della clausola 4 della direttiva n. 1999/70/ CE, in relazione agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., ovvero dei principi fondamentali di non discriminazione, uguaglianza e parità di trattamento riconosciuti e garantiti a livello europeo, internazionale e nazionale.
In particolare, in applicazione del principio di non discriminazione, la Carta del docente non potrebbe che spettare anche ai lavoratori assunti a tempo determinato, siccome lavoratori “comparabili” con i docenti di ruolo, svolgendo gli uni e gli altri la medesima “funzione docente”, senza alcuna distinzione in merito alle mansioni espletate.
Alla luce delle riferite argomentazioni, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello annullando gli atti impugnati (in specie: il d.P.C.M. del 23 settembre 2015 e la nota del M.I.U.R. n. 15219 del 15 ottobre 2015), ritenendo pertanto anche i docenti non di ruolo tra i destinatari della Carta del Docente con esclusione di una disparità di trattamento tra personale di ruolo e non in riferimento agli strumenti, risorse ed opportunità necessarie a garantire loro la formazione in servizio.