
Le fideiussioni omnibus sono delle garanzie personali che, ove stipulate, impongono al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, che il debitore principale ha assunto, o che assumerà, nei confronti del creditore (generalmente istituto di credito).
Ciò premesso, nel 2002 l’ABI (Associazione Bancaria Italiana), quale organo preposto alla predisposizione di schemi negoziali concernenti condizioni generali di contratto – che gli istituti di credito possono utilizzare nei rapporti con la clientela – ha elaborato uno schema negoziale per il contratto di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (c.d. fideiussione omnibus).
L’utilizzo generalizzato di siffatti schemi negoziali, ha sollevato il problema di compatibilità di tali strumenti con la normativa nazionale e sovranazionale posta a salvaguardia della libera concorrenza tra imprese nel mercato.
Come noto, la legge 287/1990 contiene le “norme per la tutela della concorrenza e del mercato” e più nel dettaglio, il co. 2 dell’art. 2 alla lett. a) (in ambito di intese restrittive della libertà di concorrenza) vieta espressamente “le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali”.
Tali intese, come specificato all’ultimo comma della richiamata disposizione, sono da considerarsi nulle ad ogni effetto.
Anche nel panorama normativo sovranazionale, gli accordi tra imprese volti a pregiudicare il commercio tra Stati membri in modo da impedire, falsare o comunque restringere la concorrenza, sono vietati (art. 101 TFUE) in quanto incompatibili con la politica del mercato interno comune.
Alla luce della normativa richiamata, la Banca d’Italia, in qualità di garante della concorrenza degli istituti di credito (prima del passaggio dei poteri all’Agcom), con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 ha rilevato e dichiarato l’illegittimità delle clausole contenute negli artt. 2, 6 e 8 dello schema ABI, per violazione della sopra richiamata normativa antitrust, in quanto restrittive della concorrenza.
E più nel dettaglio: – della clausola di reviviscenza di cui all’art. 2 rispetto alla quale il fideiussore è chiamato a “rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”; – della clausola, ex art. 6, di rinuncia ai termini previsti dall’art. 1957 c.c., in applicazione della quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato”; – della clausola di sopravvivenza di cui all’art. 8, rispetto alla quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.
Di seguito, le Sezioni Unite (Cass., SS.UU., 4 febbraio 2005, n. 2207), hanno sancito, in conformità al provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia, la nullità per violazione dell’art. 2 della legge Antitrust (art. 2, co. 3 L. 287/90), delle fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie (c.d. fideiussioni omnibus) conformi al richiamato schema contrattuale predisposto dall’ABI.
Riconosciuta la nullità di tali clausole (riproduttive dello schema ABI anticoncorrenziale), si è posto il problema dell’effetto di tale invalidità sui contratti a valle, ovvero sul rapporto negoziale intercorrente tra Istituto di credito e cliente.
Un primo orientamento, all’esito dell’invalidità dello schema negoziale anticoncorrenziale riconosce comunque la validità del contratto di fideiussione bancaria, sulla base di una interpretazione letterale del terzo comma dell’art. 2 L. 287/90 il quale, sancendo espressamente che “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”, ha valuto riferire l’invalidità alle sole “intese” e non anche ai contratti a valle, con la conseguenza che, il cliente/contraente non avendo libertà di determinazione nei rapporti con la Banca, dal momento che al medesimo viene sottoposto un modello contrattuale non negoziabile, è riconosciuto il solo strumento risarcitorio per mezzo del dolo incidente ex art. 1440 c.c. “che consente di reagire a comportamenti di mala fede del contraente forte, che abusi della propria posizione in presenza di un’anomalia di mercato, nel quale la relazione contrattuale di garanzia matura, e che egli stesso ha concorso a ingenerare e perpetuare.”
All’opposto, argomentando – alcuni – in ordine agli effetti del collegamento negoziale tra contratto a monte (intesa anticoncorrenziale) e contratto a valle (fideiussione omnibus) e valorizzando – altri – un vizio proprio del contratto a valle (nullità per illiceità della causa), viene affermata la radicale nullità del contratto di fideiussione omnibus.
Un terzo orientamento, intermedio tra le posizioni sopra esposte, riconosce il rimedio della nullità ma parziale, ovvero della sola clausola riproduttiva dello schema negoziale anticoncorrenziale vietato, quando la nullità della medesima non faccia venir meno l’interesse che ha determinato le parti a stipulare il contratto di garanzia (art. 1419 c.c.).
E proprio sulla base della lettura dell’art. 1419 c.c. che, parte della giurisprudenza, ha riconosciuto la persistenza dell’interesse della Banca alla garanzia fideiussoria, quand’anche ridotta a seguito della nullità della clausola riproduttiva dello schema ABI anticoncorrenziale.
Di recente le Sezioni Unite, chiamate ad esprimersi sulla validità delle fideiussioni omnibus, con sentenza del 30.12.2021, n. 41994, in adesione all’orientamento intermedio, hanno fornito una soluzione alla querelle sorta ed hanno affermato che “sono parzialmente nulli i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate in parte nulle dall’Authority perché in contrasto con le norme antitrust interne e dell’Unione europea.
Trattasi di nullità limitata alle singole clausole che riproducono lo schema unilaterale che costituisce l’intesa vietata, salvo che dal contratto sia possibile desumere, o sia altrimenti provata, una diversa volontà delle parti.”
La Suprema Corte, ha argomentato la propria risoluzione proprio sulla base del collegamento “funzionale” tra intesa a monte (anticoncorrenziale) e contratto a valle, in termini di operazione negoziale unitaria, atta a violare la normativa anticoncorrenziale nazionale e sovranazionale.
Come si evince dalle argomentazioni spese dalle Sezioni Unite, la normativa antitrust dettata dalla Legge 287/90, ha per oggetto la protezione dell’interesse generale alla libera concorrenza (che nel diritto nazionale viene sancito dall’art. 41 Cost. e nella normativa sovranazionale dal Trattato di Maastricht del 1992 ed oggi dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea agli artt. 3 e 101 TFUE) e, in ragione di questo, ogni fattispecie distorsiva della medesima (quand’anche realizzata mediante la combinazione di atti di natura diversa qualora tra gli stessi sussista un collegamento “funzionale” alla produzione dell’effetto anticoncorrenziale vietato), costituisce un comportamento censurabile in rapporto alla normativa de quo.
Ne consegue che, alla nullità parziale dell’accordo a monte, corrisponde la nullità parziale del contratto di fideiussione a valle, riproduttivo della clausola invalida, sempre che la clausola affetta da nullità parziale non risulti essenziale per i contraenti (che quindi non avrebbero concluso il contratto in assenza della parte colpita da nullità), poiché in questo caso il vizio inficerebbe la validità dell’intero negozio stipulato.
In merito agli strumenti di tutela accordati al cliente/contraente, oltre alla sopra riconosciuta tutela reale della nullità parziale della clausola anticoncorrenziale, è riconosciuta la possibilità di invocare congiuntamente una tutela risarcitoria, ex artt. 2043 cod. civ. e 33 legge n. 287/1990, per i danni patiti in ragione dall’applicazione uniforme delle clausole ABI.
Tale possibilità è ritenuta dalla Suprema Corte uno strumento utile a garantire la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla normativa antitrust in ragione anche di quanto sancito, a livello sovranazionale, dalla direttiva enfocerment n. 104/2014/UE, in cui si legge che “a norma del principio di efficacia, gli stati membri provvedono affinché tutte le norme e le procedure nazionali relative all’esercizio del diritto di chiedere il risarcimento del danno siano concepite e applicate in modo da non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto, conferito dall’Unione, al pieno risarcimento per il danno causato da una violazione del diritto alla concorrenza”.
Di conseguenza, come riconosciuto dalla Suprema Corte “alla qualificazione di nullità parziale della fideiussione consegue, inoltre, l’imprescrittibilità dell’azione di nullità (Cass. 15/11/2010, n. 23057) e la proponibilità della domanda di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., ricorrendone i relativi presupposti (Cass. 08/11/2005, n. 21647), nonché dell’azione di risarcimento dei danni”.