
Con sentenza n. 8767 del 2 maggio 2024, il T.A.R Lazio è intervenuto a chiarire un principio rilevante riguardante il titolo di avvocato in particolare i requisiti per la partecipazione ai concorsi pubblici, specificamente in relazione al possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione forense. Analizziamo insieme ad un team di avvocati esperti nel più ampio settore dei concorsi pubblici se possedere l’abilitazione all’esercizio della professione forense, persino presso le giurisdizioni superiori equivalga, ai fini di un concorso pubblico, all’aver frequentato una Scuola di Specializzazione per le professioni legali.
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Il titolo di avvocato non equivale a quello di specializzato nelle professioni forensi: la vicenda processuale
Nel caso esaminato, una candidata che aveva superato le prove scritte di un prestigioso concorso pubblico veniva invitata dall’Amministrazione a fornire chiarimenti in ordine alla natura ed alle caratteristiche del titolo post lauream dichiarato nella domanda di partecipazione. Ciò in quanto, a seguito di verifiche istruttorie, a dire dell’Amministrazione il titolo posseduto dalla candidata stessa non sarebbe stato riconducibile ad alcuno dei titoli tassativamente previsti dal bando, non essendo in particolare ascrivibile né ad un master universitario di secondo livello né ad un diploma conseguito presso le Scuole di Specializzazione per le professioni legali. Dal che veniva definitivamente disposta l’esclusione della candidata dalla procedura concorsuale.
Il titolo di avvocato non equivale a quello di specializzato nelle professioni forensi: la discrezionalità dei requisiti
Il Tar ha sottolineato come l’Amministrazione goda di ampia discrezionalità nell’individuazione dei requisiti per l’ammissione ai concorsi pubblici. Questa discrezionalità deve essere esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire e non può essere arbitraria. Deve rispettare, in tal senso, i limiti di logicità, ragionevolezza e non contraddittorietà.
Nell’esercitare siffatta discrezionalità, l’Amministrazione può interpretare in modo estensivo i requisiti per l’ammissione ai concorsi pubblici al fine di includere titoli o esperienze non espressamente previsti, ma comunque omogenei rispetto a quelli richiesti. Trattasi di operazioni interpretative da parte dell’Amministrazione, suscettibili di essere avallate in sede giurisdizionale, di tipo manipolativo della lex specialis, dirette ad ampliare la partecipazione alla procedura selettiva a soggetti in possesso di titoli o esperienze professionali non espressamente previsti quali requisiti di accesso ma a questi assimilabili ove riscontrabile una relazione di omogeneità.
Il titolo di avvocato non equivale a quello di specializzato nelle professioni forensi: il principio dell’assorbimento
In siffatto contesto si inscrive anche il principio, di creazione giurisprudenziale, dell’assorbimento del titolo inferiore nel titolo superiore, giacché l’esclusione dal concorso di soggetti in possesso del secondo, in quanto presupponente il primo per conoscenze e abilità acquisite, si risolverebbe in una violazione dei canoni di uguaglianza e di ragionevolezza.
Tuttavia, occorre distinguere i casi in cui è l’Amministrazione stessa, nel quadro dei principi generali evidenziati, ad individuare i requisiti di partecipazione al concorso da quelli in cui è la fonte normativa, primaria o subprimaria, a vincolare, in modo più o meno stringente, tale potere di scelta, che opera in assenza di una fonte normativa che stabilisca autoritativamente il titolo di studio sufficiente.
Il principio dell’assorbimento prevede che il possesso di un titolo di studio superiore implichi il possesso del titolo inferiore.
Tuttavia, il Tar ha specificato che questo principio non è applicabile in ogni circostanza. Nel contesto delle Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali, il Giudice ha evidenziato che queste scuole formano per diverse professioni (magistrati, avvocati, notai) e che il superamento dell’esame di abilitazione per una di queste professioni non dimostra il possesso delle conoscenze offerte dalle scuole in modo esaustivo.
In definitiva, secondo il Tar Lazio, il possesso dell’abilitazione all’esercizio delle professioni forensi, anche se conseguita presso le giurisdizioni superiori, non è equiparabile alla frequenza di una Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali ai fini della partecipazione a determinati concorsi pubblici.
Questo chiarimento sottolinea l’importanza di rispettare le specifiche richieste dei bandi di concorso e la necessità di una valutazione accurata dei titoli dichiarati dai candidati.
Il richiamato principio dell’assorbimento rappresenta un punto cruciale nella definizione dei requisiti per la partecipazione ai concorsi pubblici, ribadendo la necessità di una corrispondenza precisa tra i titoli richiesti e quelli posseduti dai candidati.