Le concessioni demaniali marittime hanno avuto un grande sviluppo, divenendo oggetto di innovazioni legislative e di una considerevole evoluzione normativa, passando, da strumento eccezionale a mezzo normale di utilizzazione dei beni demaniali marittimi, anche in considerazione della spiccata connotazione economica assunta dagli stessi.
Tra le varie tipologie di concessioni demaniali, quelle per finalità turistico-ricreativo hanno assunto una nevralgica importanza per la loro spiccata connotazione economica e lucrativa.
Le peculiarità proprie del sistema italiano delle concessioni demaniali marittime hanno fatto si che, a differenza di altri contesti, il ricorso a meccanismi selettivi di affidamento dei beni demaniali sia stato per lungo tempo escluso nel nostro ordinamento dal mercato nazionale, al fine di privilegiare la stabilità dei rapporti concessori aventi ad oggetto il diritto di sfruttamento, per finalità turistico-ricreative, del demanio marittimo e lacuale.
Così, nell’ambito di una normativa nazionale che ha disciplinato un sistema non concorrenziale di scelta dei gestori dei beni demaniali marittimi, il legislatore italiano ha dovuto confrontarsi con uno dei testi normativi più importanti e, al tempo stesso, più controversi del diritto europeo: la Direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein o Direttiva Servizi). (Sulla questione vedi pure articoli: Concessioni balneari italiane: normativa europea e criticità; Concessioni balneari: nuova Sentenza UE e implicazioni legali; Concessioni demaniali: illegittimità delle proroghe confermata).
Ne è derivata una querelle tra lo Stato italiano e le istituzioni comunitarie in relazione alla corretta individuazione delle procedure di assegnazione dei beni demaniali marittimi, in grado di conciliare gli obblighi di trasparenza e parità di trattamento postulati dall’Unione europea con le peculiarità proprie della disciplina dettata nell’ordinamento interno.
Vero è che, dall’analisi dei principali sistemi normativi europei in materia di concessioni demaniali marittime, emerge che l’obiettivo dell’Unione europea di promuovere un mercato unico dei servizi in ambito turistico-balneare è stato perseguito in maniera diversa tra i vari Stati membri.
Mentre alcuni paesi, come la Francia, si sono concentrati su tematiche prettamente ambientali – legate all’eco-sostenibilità delle attività economiche costiere – altri paesi, come la Spagna hanno recepito nel proprio diritto interno i principi europei al fine di adattarli al proprio contesto nazionale.
Tuttavia, nessuno degli Stati membri sembra aver offerto soluzioni pienamente soddisfacenti quanto alla procedura da adottare per l’assegnazione delle concessioni in parola.
Se, infatti, in Spagna e Portogallo il principio di gara si riduce ad un’affermazione astratta, non supportata da un’applicazione omogenea ed uniforme, in Croazia, la scelta del sistema di assegnazione mediante pubblica selezione appare legata alla particolare situazione geo-morfologica delle aree costiere. In Grecia, invece, manca ancora una disciplina organica del settore.
A tale aspetto, si collega la questione relativa alla durata delle concessioni rilasciate che, se nell’ottica pro-concorrenziale auspicata dall’Unione europea dovrebbe essere ridotta rispetto agli attuali intervalli, risulta ancora piuttosto ampia.
A parte il modello francese, che prevede un termine di durata dei titoli abilitativi per un massimo di 12 anni, in Spagna e Portogallo vige tuttora la possibilità di protrarre il rapporto concessorio sino a 75, mentre in Croazia, dove pure il sistema prevede il principio di assegnazione dei titoli abilitativi a mezzo gara, sussistono diverse ipotesi in cui è possibile ampliare la durate degli stessi.
Tale eterogeneità nella risposta, può trovare una ragione giustificativa nella varietà dei contesti economico- scoiali, oltre che geografici, che contraddistinguono i Paesi rivieraschi dell’Unione europea.
Infatti, sfruttando l’ampia discrezionalità prevista dalla Direttiva Bolkestein per le amministrazioni competenti ai diversi livelli di governo, queste hanno potuto ridefinire autonomamente le normative in tale ambito.
Tuttavia, affinchè la Direttiva 2006/123/CE e le norme del Trattato esplichino il proprio effetto utile, il diritto dell’Unione europea rimarca l’esigenza di una programmazione generale o, quantomeno, di un coordinamento tra programmazioni in un contesto in cui, il settore in esame pare “oscillare” tra l’applicazione dei principi di concorrenza ed un’autonoma valutazione, rimessa agli Stati membri, circa la concreta applicabilità della Direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime e lacuali.
In particolare, non ha trovato soluzione negli ordinamenti esaminati la questione della scarsità dei beni demaniali marittimi, presupposto per l’applicazione tout cout della disciplina contenuta nella Direttiva.
Sebbene, come visto, la Corte di Giustizia, nella citata sentenza Proimpresa e Melis, abbia devoluto al giudice nazionale la valutazione circa la sussistenza di tale requisito, nessuna autorità nazionale ha condotto una riflessione approfondita sul tale aspetto. È evidente, infatti, che in difetto del presupposto della scarsità dei beni affidati in concessione, da cui scaturirebbe l’inapplicabilità della Direttiva servizi, residuerebbe l’obbligo di procedere all’assegnazione delle concessioni del demanio marittimo all’esito di una procedura ad evidenza pubblica solamente nei casi in cui dovesse essere accertato un interesse transfrontaliero certo, in ossequio al principio di libera circolazione die servizi ex art. 49 TFUE.
In tutti gli altri casi, al contrario, il legislatore nazionale conserverebbe una ben più ampia discrezionalità anche con riferimento alle modalità di assegnazione delle concessioni.
Un’altra questione, che riguarda più prettamente il modello italiano, ruota invece all’utilizzo della proroga legislativa quale strumento utilizzato dal legislatore italiano per regolare il passaggio dal previgente sistema ordinamentale al nuovo e tutelare, al contempo, il legittimo affidamento creatosi sulla stabilità di un dato assetto normativo.
Benchè, sul punto le pronunce del Consiglio di Stato del 2021 siano chiare e categoriche, rimane vivo il dibattito dottrinale in ordine alle implicazioni, tanto giuridiche tanto pratiche, della scelta interpretativa del massimo Consesso della Giustizia Amministrativa in ordine alla corretta regolamentazione delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo.
Vero è che, al di là dell’apparenza granitica, le sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 17 e 18, se calate nel complesso scenario dell’ordinamento normativo interno ed europeo, lasciano intravedere alcune crepe sotto il profilo logico-argomentativo, che potrebbero comportare implicazioni di ampia portata e dare vita anche a nuovi e lunghi contenziosi.
Uno scenario, quindi, potenzialmente in grado di tornare ad alimentare il lungo e ciclico dibattito sulle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
In primis, l’affermazione secondo cui l’art. 49 TFUE debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale di proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico ricreative, in quanto sarebbe sempre e comunque rinvenibile un interesse transfrontaliero certo, presenta alcuni punti di debolezza sotto il profilo logico-argomentativo. È, infatti, un dato acquisto dalla giurisprudenza europea come ai fini della violazione del Trattato sia necessario che la violazione dell’interesse transfrontaliero certo sia posta in essere dal singolo atto.
In tal senso la sentenza sentenza Promoimpresa S.r.l. ha sottolineato come l’individuazione dell’interesse transfrontaliero certo debba essere effettuata dal giudice nazionale, “tenendo conto in particolare della situazione geografica del bene e del valore economico” della relativa concessione.
Analogamente, la lettera di costituzione in mora ex art. 258 TFUE 2006/123, della Commissione UE del 3 dicembre 2020, lungi dal considerare unitariamente il patrimonio costiero nazionale, suggeriva che per quanto riguarda almeno alcune delle concessioni oggetto delle proroghe ex lege stabilite dalla legislazione italiana, è possibile presumere l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo sulla base dell’ubicazione geografica dell’area demaniale e del valore economico delle concessioni.
La presunzione di un interesse transfrontaliero certo rispetto ad almeno alcune delle concessioni oggetto delle proroghe ex lege lascia del tutto impregiudicata la questione dell’esistenza di un tale interesse in capo a tutte le altre concessioni esistenti. Questione che, invece, la Plenaria sembra risolvere apoditticamente nel senso di un’esistenza generalizzata dell’interesse transfrontaliero certo in capo a tutte le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
Eventuali dubbi potranno, invece, essere fugati ricorrendo alla Corte di Giustizia UE.
In secondo luogo, il Consiglio di Stato affermando che l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE costituirebbe un ostacolo alla ex lege delle autorizzazioni demaniali marittime (ma anche quelle lacuali e fluviali) in essere per finalità turistico-ricreative sembra essere andato oltre i criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea.
A tal proposito sembra, infatti, opportuno ricordare che la sentenza Promoimpresa S.r.l. ha chiarito come per il superamento del regime delle proroghe legali sia correlato, proprio alla luce del citato art. 12, alla scarsità à delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, rilevata a valle dell’accertamento operato, caso per caso, dal giudice nazionale.
Non del tutto pacifica, poi, appare la sussistenza dei presupposti necessari ad integrare (come, invece, sostenuto dalla Plenaria) la violazione di una direttiva self executing”.
Il Supremo Consesso della giustizia amministrativa riconosce nella disposizione in questione un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale di proroga. L’art. 12, della direttiva 2006/123/CE (così come l’art. 16 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59 con cui la direttiva è stata recepita dall’ordinamento interno) sembra, però, suggerire una soluzione di senso opposto. La norma, infatti, nel richiedere l’espletamento di procedure di selezione dei candidati che presentino garanzie di imparzialità, trasparenza e pubblicità adeguata, precisa anche, al par. 3, che […] gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario, con ciò ammettendo implicitamente l’eventualità di deroghe al regime generale dell’evidenza pubblica in ragione specifiche motivazioni individuate dalla norma stessa.
Alla stregua di tali circostanze s’impone la necessità di un intervento del legislatore. Necessità, peraltro indirettamente riconosciuta anche dal Consiglio di Stato il quale, non senza contraddizioni, dopo aver considerato inesistenti gli atti di proroga delle concessioni (tamquam non essent si legge nel punto 43 delle due pronunce), ne proroga gli effetti fino al 31 dicembre 2023 sulla base di una valutazione di congruità.
L’aspetto singolare di questa decisione è rappresentato dal fatto che la Plenaria se da un lato qualifica come tamquam non esset, i provvedimenti di proroga – in quanto meramente ricognitivi di un effetto prodotto automaticamente da una legge inapplicabile sin dalla sua promulgazione – dall’altro, con le stesse sentenze che dichiarano l’inapplicabilità di questa legge, prolunga gli effetti di tali atti ricognitivi per un biennio.
Un ulteriore aspetto che merita di essere approfondito è quello dei possibili effetti in malam partem delle pronunce in commento. La questione, sollevata da parte della dottrina, verte sulle possibili ripercussioni in termini di responsabilità penale dei concessionari demaniali in conseguenza alla disapplicazione delle norme che dispongono la proroga, i quali vengono a trovarsi privi di un titolo legittimante l’occupazione del suolo demaniale (incorrendo così nel reato di occupazione abusiva di spazio demaniale marittimo previsto di cui all’art. 1161 cod. nav.).
Il Supremo consesso della giustizia amministrative ha risposto a tali obiezioni sostenendo che ciò è impedito dai principi costituzionali di riserva di legge statale e di irretroattività della legge penale.
A ben guardare, però, effetti in malam partem sembrano configurabili nell’ipotesi in cui successivamente al 31 dicembre 2023, il legislatore dovesse intervenire nuovamente con una ulteriore proroga. La nuova (ipotetica) norma sarebbe, infatti, contraria al diritto eurounitario e quindi – anche sulla base di quanto statuito dall’Adunanza plenaria nelle sentenze in commento – dovrebbe essere, conseguentemente, disapplicata.
Un simile scenario riproporrebbe la questione circa l’applicabilità degli artt. 1161 (Abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata) e 54 (Occupazioni e innovazioni abusive) del Codice della navigazione, di cui al R.D. n. 327/ 1942. Ciò soprattutto alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione la quale ha affermato che in tema di reati marittimi, e segnatamente della fattispecie incriminatrice di occupazione abusiva di spazio demaniale prevista e punita dagli articoli 54 e 1161 c. nav., essa si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l’esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell’istanza di rinnovo”.
Ne segue che, chiunque, successivamente al 31 dicembre 2023 occupi una porzione del demanio marittimo (fosse anche in forza di una disposizione di legge) può incorrere in detti reati.
Giova da ultimo segnalare che, proprio al fine di dare seguito all’auspicata riforma del settore, il Consiglio dei Ministri ha di recente approvato un emendamento al disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza per l’anno 2021 (A.S. 2469), relativo alle modalità di affidamento delle concessioni demaniali. Tale emendamento mira in linea generale sia a migliorare la qualità dei servizi con conseguente beneficio per i soggetti consumatori, che a valorizzare i beni demaniali offrendo al contempo certezze al settore.
Per quanto riguarda le concessioni ancora in essere alla data di entrata in vigore della Legge a seguito di proroghe o rinnovi disposti anche ai sensi della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 e del Decreto-Legge 14 agosto 2020, n. 104 (conv. con modificazioni, dalla Legge 13 ottobre 2020, n. 126), esse continuano ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023.
Si tratta di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative, ivi comprese quelle di cui all’articolo 1, comma 1, del Decreto-Legge 5 ottobre 1993 n. 400 (conv. con modificazioni, dalla Legge 4 dicembre 1993 n. 494), quelle gestite dalle società sportive iscritte al registro CONI di cui al Decreto Legislativo 23 luglio 1999, n. 242 e quelle per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, inclusi i punti d’ormeggio.
Per quel che attiene ai rapporti di gestione per finalità turistico-ricreative, il testo dell’emendamento si riferisce a quei rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico ricreative in aree facenti parte del demanio marittimo a seguito di provvedimenti entrati in vigore successivamente all’inizio dell’utilizzazione delle strutture medesime.
Il comma 2 stabilisce che le concessioni e i rapporti sopra descritti, che attraverso una procedura selettiva vengono affidati o rinnovati in ossequio ai principi di imparzialità, trasparenza, pubblicità, continuano ad avere efficacia sino al termine fissato dal relativo titolo, ovvero sino al 31 dicembre 2023 qualora tale termine sia anteriore alla suddetta data.
Non è considerata abusiva fino alla data fissata al 31 dicembre 2023 l’occupazione dello spazio demaniale relativa alle concessioni e ai rapporti descritti dal comma 1, anche secondo quanto disposto dall’art. 1161 del Codice della Navigazione (comma 3).
Per assicurare un più razionale e sostenibile utilizzo del demanio marittimo, favorirne la pubblica fruizione e promuovere, in coerenza con la normativa europea, un maggiore dinamismo concorrenziale nel settore, l’emendamento varato dal C.d.M. prevede che il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della Legge, su proposta del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e del Ministro del turismo, di concerto con il Ministro della transizione ecologica, il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’art. 8 D. Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, alcuni decreti legislativi aventi la finalità di aprire il settore alla concorrenza, nel contempo tenendo in adeguata considerazione le peculiarità del settore.
In particolare, tali decreti devono tendere a riordinare e semplificare sia la disciplina in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative, che quella relativa a concessioni finalizzate alla realizzazione e gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, ivi inclusi i punti d’ormeggio.